Rafforzare l’unità della chiesa, non indebolirla

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Da Riforma del 25 febbraio 2019

Dal 23 al 26 febbraio la conferenza generale straordinaria della United Methodist Church affronta il problema dell’accettazione o meno dell’omosessualità all’interno della denominazione

In questi giorni (dal 23 al 26 febbraio) si sta tenendo a St. Louis, Missouri, la seconda conferenza generale straordinaria della storia della United Methodist Church (Umc), iniziata nel 1968 con l’unione fra Chiesa metodista episcopale degli Stati Uniti ed Evangelical United Brethren Church.

Si è reso infatti necessario un incontro ad hoc per affrontare una discussione che va avanti da molti anni, dividendo le chiese su due aspetti in particolare: l’ordinazione di pastori e diaconi apertamente omosessuali e l’accettazione di coppie omoaffettive (con relativa possibilità di celebrare unioni).

Per dirimere la complessa materia, nel 2016 è stata nominata una commissione di 32 membri (Commission on a Way Forward) composta da otto vescovi, 11 laici, 11 anziani e due diaconi, tre apertamente gay, che ha esaminato il Book of Discipline, che governa il funzionamento della Umc, nelle parti riguardanti la sessualità. Attualmente esso vieta la celebrazione di unioni fra persone dello stesso sesso e non accetta pastori o diaconi «dichiaratamente praticanti», ritenendo l’omosessualità «incompatibile con l’insegnamento cristiano». Tuttavia, sono già avvenuti matrimoni gay in alcune chiese della Umc e alcuni pastori hanno dichiarato apertamente la loro omosessualità (ne avevamo parlato quiqui).

La commissione ha quindi elaborato tre «piani». Il primo (Una chiesa), oltre a eliminare alcune frasi del Book of Discipline, delegherebbe a chiese e conferenze locali la decisione sul comportamento da attuare, piuttosto che definire una linea generale. Il secondo (Piano tradizionale) manterrebbe invariata la disciplina e quindi le restrizioni sull’omosessualità; il terzo propone una divisione in tre conferenze (connectional conference) a livello mondiale. A questi si è aggiunto il Simple Plan, proposto dalle associazioni lgbtq, che vuole rimuovere dal Book of Discipline ogni espressione discriminatoria.

Certo non è facile trovare una linea comune, considerando che le posizioni non si diversificano secondo un criterio semplicemente geografico (negli Stati Uniti sono presenti sostenitori di tutte e quattro le proposte), anche se indubbiamente nei paesi africani (dove l’omosessualità è illegale in 36 paesi su 55) e asiatici, dove spesso l’omosessualità è ancora un tabù, questo tema è assai problematico. Gli 864 delegati, circa il 58% dagli Stati Uniti, il 30% dall’Africa e il restante dall’Europa e dall’Asia, sono stati chiamati a tracciare una “rotta” per i prossimi decenni.

Inevitabile pensare a un confronto con le chiese metodiste italiane, più vicine al metodismo inglese che a quello della Umc, ma nelle quali (insieme ai valdesi, a cui sono unite dal Patto di integrazione dal 1975) la riflessione sul tema ha impegnato per decenni, come ricorda la pastora Mirella Manocchio, presidente dell’Opcemi (Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia), prima di arrivare all’atto sinodale nel 2010. Questo, peraltro, «è stato una tappa importante, ma non conclusiva, cui siamo arrivati attraverso un lungo lavoro, cercando di partire dalle basi teologiche e bibliche». Anche nelle chiese italiane però «non abbiamo ancora fatto una riflessione chiara, non ci sono ancora state dichiarazioni aperte, per esempio al momento della consacrazione di un pastore o un diacono. Il fatto di avere pastori e diaconi dichiaratamente lgbt è un dato di fatto accettato e accolto, ma ancora manca una presa di coscienza. In questo senso è da ammirare questa chiesa che, seppure tradizionale nei suoi principi, si interroga in maniera aperta su questa tematica complessa».

Secondo Manocchio, emerge il quadro di una chiesa «che si interroga, composita e viva, che non cerca solo di essere al passo con i tempi, ma di rivedere e ricomprendere la sua teologia e di conseguenza le sue affermazioni di fede e i principi sociali. È interessante che nella discussione abbiano portato l’esempio di altre chiese (presbiteriana, battista, luterana), che sono andate incontro a fratture, sottolineando come questo tema, pur divisivo, abbia portato a rivedere i temi fondamentali della fede e rileggerli alla luce di nuove analisi esegetiche. Questa può essere l’occasione per affrontare un discorso ben più ampio, non limitato al tema dell’omosessualità».

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#FineVita. Firmato il Manifesto interreligioso

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Da NEV del 5 febbraio 2019

Siglato oggi a Roma il primo documento bioetico che pone importanti fondamenti comuni per il dialogo interreligioso in ambito sanitario. Al lavoro un tavolo per definire le procedure operative

“È significativo per noi protestanti aver firmato questo ‘Manifesto interreligioso dei diritti nei percorsi di fine vita’ proprio nel mese di febbraio, alla vigilia della festa della libertà con cui ricordiamo il riconoscimento dei diritti civili e politici ai valdesi da parte del re Carlo Alberto, concessi il 17 febbraio 1848, 171 anni fa” con queste parole commenta la giornata di oggi il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Luca Maria Negro, tra i 18 firmatari del Manifesto presentato oggi in una cerimonia ufficiale nel Salone del Commendatore presso Santo Spirito in Sassia, a Roma.

Luca Maria Negro presso Santo Spirito a Roma, 5 febbraio 2019, firma del Manifesto interreligioso dei diritti nei percorsi di fine vita.

“Come protestanti italiani crediamo che libertà e responsabilità siano due concetti inscindibili, pertanto il dialogo con le istituzioni e con le altre confessioni e religioni è un punto di partenza non solo sui temi bioetici, come in questo caso, ma anche in generale su questioni più ampie – ha continuato Negro –. Stiamo ancora aspettando una legge quadro sulla libertà religiosa in Italia e pensiamo che proprio a partire dal rispetto delle diverse fedi possiamo dare un contributo importante alla società”.
Il Manifesto, che ha visto collaborare protestanti, cattolici, ortodossi, ebrei, musulmani, buddisti e induisti, definisce nove diritti fondamentali e garantisce, oltre alle cure, il rispetto della dignità e il supporto religioso e spirituale per chi si trova nella fase finale della vita in strutture sanitarie: “Un lavoro importante frutto di una particolare sensibilità nei confronti del dialogo interreligioso in ambito sanitario, volto a creare un percorso che porti a impegni concreti” si legge nella nota stampa diramata oggi, che sottolinea il documento come “punto di arrivo di un percorso pienamente condiviso che rende possibile la trasformazione dei nove diritti in procedure operative”.

Le confessioni religiose hanno sottoscritto il testo, promosso dal Tavolo Interreligioso di Roma insieme alla Asl Roma 1 e al Gemelli medical center (GMC) – Università Cattolica del Sacro Cuore, in una data che si colloca all’interno della Settimana mondiale dell’armonia interreligiosa promossa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ha portato un saluto durante la cerimonia anche la Ministra della Salute, Giulia Grillo.

Per rendere operativo il Manifesto ed elaborare delle Linee guida applicative su alimentazione, cura spirituale, trattamento del corpo nella malattia e nei riti pre e post mortem, è operativo un Tavolo interreligioso di cui fa parte, per la FCEI, il pastore Herbert Anders.

Scarica la scheda: Nove diritti nei percorsi di fine vita

Guarda il video della cerimonia sulla pagina Facebook della Asl Roma 1


I FIRMATARI

  1.  ASL ROMA1 – Angelo Tanese – Direttore Generale
  2. Tavolo Interreligioso di Roma di Roma – Maria Angela Falà – Presidente
  3. Tavolo Interreligioso di Roma – Paola Gabbrielli – Presidente Emerito
  4. GMC  – Università Cattolica del Sacro Cuore – Pier Francesco Meneghini – Presidente
  5. Don Carlo Abbate – Assistente Spirituale Hospice Villa Speranza di Roma – Università Cattolica del Sacro Cuore
  6. Vicariato di Roma – Mons. Paolo Ricciardi – Vescovo Ausiliare Delegato per la Pastorale della Salute Diocesi di Roma
  7. Unione Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno – Stefano Paris – Presidente
  8. Diocesi Ortodossa Romena d’Italia – Padre Ilie Ursachi – Consigliere per la Pastorale Sociale e Sanitaria
  9. Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia – Pastore Luca Maria Negro – Presidente
  10. Centro Islamico Culturale d’Italia – Abdellah Redouane – Segretario Generale
  11. Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai – Alberto Aprea – Presidente
  12. Unione Buddhista Italiana – Giorgio Raspa – Presidente
  13. Unione Comunità Ebraiche italiane – Noemi Di Segni – Presidente
  14. Unione Induista Italiana – Franco Di Maria Jayendranatha – Presidente
  15. CSV – Renzo Razzano – Presidente CSV Lazio
  16. AVO – Carla Messano – Vice Presidente Federavo e Rappresentante delle Regioni
  17. CITTADINANZATTIVA – Antonio Gaudioso – Segretario Generale
  18. OSS – Hospice Villa Speranza – Simone Cicuzza
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Targa della piazza Martin Lutero. Il comunicato della Consulta delle chiese evangeliche romane

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Da NEV del 12 febbraio 2019

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato della Consulta delle chiese evangeliche romane in riferimento alla distruzione della targa della piazza Martin Lutero a Roma

Come Consulta delle chiese evangeliche romane*, appreso dell’atto vandalico in piazza Martin Lutero, con la distruzione della targa della piazza, condanniamo l’ennesimo episodio che colpisce le minoranze religiose della nostra città.

Solo dopo alcune settimane dal furto delle “pietre di inciampo” nel quartiere Monti, a poca distanza da Colle Oppio, questo nuovo avvenimento vandalico ferisce le chiese evangeliche che in Martin Lutero trovano l’ispiratore del loro cammino comunitario.

Questo atto avviene a pochi giorni dal 17 febbraio celebrato dalle comunità evangeliche italiane e dalla comunità ebraica come giorno di festa della libertà. Giorno in cui si fa memoria del 17 febbraio 1848, data nella quale Carlo Alberto, con la firma delle Lettere Patenti, estendeva i diritti civili ai valdesi e agli ebrei.

Come minoranza religiosa ci sentiamo colpiti nei valori fondanti della nostra esperienza di fede, con un atto che dimostra come la nostra esperienza è ancora valida, liberante e, soprattutto, attuale nel difendere la libertà non solo religiosa di ogni uomo e di ogni donna nel nostro Paese.

Chiediamo un impegno concreto da parte dell’amministrazione comunale e municipale nel condannare questo atto e il ripristino immediato della targa nel parco di Colle Oppio. Chiediamo inoltre che si individuino e si attuino percorsi formativi e informativi, a tutti i livelli, sui temi delle minoranze religiose, sul rispetto, e sulla libertà religiosa, ancora oggi a rischio nel nostro Paese.

Il consiglio direttivo della Consulta

*La Consulta è un organismo nel quale collaborano le chiese avventiste, battiste, luterana, metodiste e valdesi di Roma.

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Venezia. Pietra d’inciampo per Giovanni Gervasoni

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Da NEV del 23 gennaio 2019 – In occasione delle manifestazioni per la Giornata della Memoria verrà posta a Venezia la pietra d’inciampo per ricordare Giovanni Gervasoni un maestro elementare, dissidente politico, deportato e membro della Chiesa Metodista

Il prossimo 28 gennaio 2019 – in occasione delle manifestazioni per la Giornata della Memoria – si terrà a Venezia la sesta edizione della posa delle Pietre d’Inciampo per ricordare le vittime della deportazione nei campi di sterminio nazisti. Nella mattinata, alle 9.30, a San Polo 2305 verrà posta la pietra d’inciampo per ricordare Giovanni Gervasoni (1909 – 1945) un maestro elementare, dissidente politico, deportato, evangelico e membro della Chiesa Metodista.

Gervasoni è stata una personalità importante e amata dell’antifascismo veneto, con una parabola esistenziale tutta dedicata all’opposizione al regime fascista. “La sua attività politica lo portava a viaggiare spesso tra Venezia e Padova” ricorda Alberto Bragaglia, giornalistga RAI e membro della chiesa metodista veneziana, che ha riferito le memorie di suo padre, allora adolescente, che ricordava “un signore alto e allampanato che appariva improvvisamente in casa e veniva ospitato per alcuni periodi dalla famiglia”.

Giovanni Gervasoni, nato a Venezia si convertì al protestantesimo nel dicembre del 1930, entrò a far parte della comunità metodista episcopale della città lagunare e sempre in quegli anni si fece promotore di un gruppo impegnato nella diffusione della stampa antifascista. Grazie alla sua amicizia con il pastore Anselmo Ammenti, il gruppo si riunì prima nei locali della chiesa metodista e in seguito nella casa pastorale. Arrestato nel 1932 come sovversivo, venne rilasciato in breve tempo e sottoposto ad una stretta sorveglianza.

Nel 1935 fondò insieme ad altri giovani evangelici come Giovanni Vezzosi Ferdinando Geremia un nuovo gruppo impegnato nella distribuzione clandestina di materiale proveniente da Giustizia e Libertà. L’attività venne interrotta nell’aprile di quello stesso anno, quando vennero arrestati il pastore metodista di Padova Dante Seta e lo stesso Gervasoni, condannato a cinque anni di confino sull’isola di Ventotene. Nel 1937 venne nuovamente arrestato e deferito al Tribunale speciale per la difesa dello stato di Roma. L’accusa era quella di aver collaborato con il medico Romolo Quarzola, anche lui al confino a Ventotene. I due avevano tentato di far uscire clandestinamente dall’isola alcuni appelli e memoriali in cui si criticava aspramente la politica fascista. Condannato ad un anno e tre mesi, scontò la pena nelle carceri di Roma e di Civitavecchia.

Nel dicembre del 1938 venne inviato al confino sull’isola di Ponza, località in cui rimase fino al luglio dell’anno successivo. Ritornato a Ventotene, strinse profondi rapporti di amicizia con diversi antifascisti come Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Riccardo Bauer. Alla scadenza della pena, nel 1941, il direttore della colonia penale di Ventotene richiese ed ottenne il prolungamento della pena per Gervasoni, il quale venne condannato a due anni supplementari di confino.

Liberato nel luglio del 1943, fece ritorno a Venezia. Entrato in contatto con le forze armate anglo-americane, divenne partigiano. Catturato dai tedeschi nell’estate del 1944, venne deportato a Dachau, dove morì all’inizio del 1945.

 

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