Venezia. Pietra d’inciampo per Giovanni Gervasoni

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Da NEV del 23 gennaio 2019 – In occasione delle manifestazioni per la Giornata della Memoria verrà posta a Venezia la pietra d’inciampo per ricordare Giovanni Gervasoni un maestro elementare, dissidente politico, deportato e membro della Chiesa Metodista

Il prossimo 28 gennaio 2019 – in occasione delle manifestazioni per la Giornata della Memoria – si terrà a Venezia la sesta edizione della posa delle Pietre d’Inciampo per ricordare le vittime della deportazione nei campi di sterminio nazisti. Nella mattinata, alle 9.30, a San Polo 2305 verrà posta la pietra d’inciampo per ricordare Giovanni Gervasoni (1909 – 1945) un maestro elementare, dissidente politico, deportato, evangelico e membro della Chiesa Metodista.

Gervasoni è stata una personalità importante e amata dell’antifascismo veneto, con una parabola esistenziale tutta dedicata all’opposizione al regime fascista. “La sua attività politica lo portava a viaggiare spesso tra Venezia e Padova” ricorda Alberto Bragaglia, giornalistga RAI e membro della chiesa metodista veneziana, che ha riferito le memorie di suo padre, allora adolescente, che ricordava “un signore alto e allampanato che appariva improvvisamente in casa e veniva ospitato per alcuni periodi dalla famiglia”.

Giovanni Gervasoni, nato a Venezia si convertì al protestantesimo nel dicembre del 1930, entrò a far parte della comunità metodista episcopale della città lagunare e sempre in quegli anni si fece promotore di un gruppo impegnato nella diffusione della stampa antifascista. Grazie alla sua amicizia con il pastore Anselmo Ammenti, il gruppo si riunì prima nei locali della chiesa metodista e in seguito nella casa pastorale. Arrestato nel 1932 come sovversivo, venne rilasciato in breve tempo e sottoposto ad una stretta sorveglianza.

Nel 1935 fondò insieme ad altri giovani evangelici come Giovanni Vezzosi Ferdinando Geremia un nuovo gruppo impegnato nella distribuzione clandestina di materiale proveniente da Giustizia e Libertà. L’attività venne interrotta nell’aprile di quello stesso anno, quando vennero arrestati il pastore metodista di Padova Dante Seta e lo stesso Gervasoni, condannato a cinque anni di confino sull’isola di Ventotene. Nel 1937 venne nuovamente arrestato e deferito al Tribunale speciale per la difesa dello stato di Roma. L’accusa era quella di aver collaborato con il medico Romolo Quarzola, anche lui al confino a Ventotene. I due avevano tentato di far uscire clandestinamente dall’isola alcuni appelli e memoriali in cui si criticava aspramente la politica fascista. Condannato ad un anno e tre mesi, scontò la pena nelle carceri di Roma e di Civitavecchia.

Nel dicembre del 1938 venne inviato al confino sull’isola di Ponza, località in cui rimase fino al luglio dell’anno successivo. Ritornato a Ventotene, strinse profondi rapporti di amicizia con diversi antifascisti come Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Riccardo Bauer. Alla scadenza della pena, nel 1941, il direttore della colonia penale di Ventotene richiese ed ottenne il prolungamento della pena per Gervasoni, il quale venne condannato a due anni supplementari di confino.

Liberato nel luglio del 1943, fece ritorno a Venezia. Entrato in contatto con le forze armate anglo-americane, divenne partigiano. Catturato dai tedeschi nell’estate del 1944, venne deportato a Dachau, dove morì all’inizio del 1945.

 

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Giornata della Memoria 2019

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Da NEV del 25 gennaio 2019. Il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, pastore Luca Maria Negro, scrive alla presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, Noemi Di Segni esprimendo vicinanza spirituale e solidarietà di fronte alla recrudescenza di atti intimidatori e vandalici di stampo neofascista. La Memoria non è solo divieto all’oblio ma ricerca e affermazione incessante della verità

Il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Luca Maria Negro, in occasione del Giorno della Memoria ha inviato una lettera alla presidente dell’Unione delle comunità ebraiche (UCEI), Noemi Di Segni in cui ha espresso la profonda vicinanza spirituale e solidarietà della Federazione.

Negro ha ricordato la comunanza di esperienze delle comunità ebraiche e protestanti, che hanno subito in passato discriminazioni e persecuzioni, sebbene in tempi e modi differenti. Ma la preoccupazione è tutta rivolta al presente, “alla recrudescenza di atti intimidatori e vandalici di stampo neofascista che richiamano alla mente quelle persecuzioni” e l’appello è quello “alla vigilanza e all’impegno di tutti”.

“La Memoria, alla quale ci appelliamo ogni 27 gennaio – prosegue il pastore Negro -, l’invito a non dimenticare, deve trovare la sua attuazione non solo in un generico divieto all’oblio ma nella ricerca e affermazione incessante della verità, come strumento di costruzione di una cultura critica, scevra di qualsiasi retorica e ritualizzazione”.

Il presidente della FCEI ha anche ricordato Giovanni Gervasoni, maestro elementare, dissidente politico, membro della Chiesa Metodista; un protagonista degli anni bui delle persecuzioni, deportato e morto a Dachau, e al quale la città di Venezia dedicherà una pietra d’inciampo.

Per leggere la lettera clicca qui

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20 gennaio culto per Susanne Wesley

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Susanne Wesley, madre del metodismo a Roma

Da Riforma dell’11 gennaio 2019

Roma, domenica 20 gennaio, ore 10,30

In occasione del 350° anniversario della nascita di Susanne Wesley, la “madre del metodismo”, alle 10,30 a Ponte Sant’Angelo celebrazione con culto speciale. Sarà presente la pastore Mirella Manocchio, che interverrà sulla figura di Susanna e di come sia stata una donna che ha ispirato altre donne in varie parti del mondo.

Data:
domenica, 20 gennaio, 2019 – 10:30

Approfondimenti sulla figura di Susanne Wesley

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Il Rinnovamento del Patto

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di Mirella Manocchio

Per le chiese metodiste un’occasione di testimonianza del loro costante impegno

Molta acqua è passata sotto i ponti da quando nel lontano 11 agosto 1755 venne per la prima volta celebrato il culto di Rinnovamento del Patto a Londra, nella chiesa francese di Spitalfields, alla presenza di 1800 persone, divenendo, come John Wesley successivamente commentò nel suo diario: «un’occasione per varie esperienze spirituali … Non credo che abbiamo mai avuto benedizione maggiore». Da allora, nelle chiese metodiste di tutto il mondo, all’inizio dell’anno o nelle occasioni significative viene celebrato questo culto che sancisce l’impegno e il completo affidamento a Dio della comunità dei credenti, nella consapevolezza che Egli stesso, per primo, offre la possibilità di rinnovare un tale patto con Lui. «Signore, io non appartengo più a me stesso, ma a te. Impegnami in ciò che vuoi, mettimi a fianco di chi vuoi»: così ha inizio la preghiera centrale nel culto di Rinnovamento del Patto.

Ma di che cosa tratta questa tradizione? Essa ha una radice biblica e nel libro del profeta Geremia il contenuto del patto viene da Dio stesso riassunto nell’affermazione: «Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (31, 33b). La Bibbia menziona in varie occasioni un Patto tra Dio e l’essere umano: da Noè ad Abramo, da Mosè fino a quello eterno (berit olam) stabilito con re Davide, e infine per mezzo di Gesù Cristo il Patto viene esteso all’umanità intera.

In ogni caso, è sempre Dio che sceglie la controparte del Patto e che vi si impegna in prima battuta. L’essere umano è chiamato a rispondervi sebbene non sia una controparte uguale a Dio sia nel peso della responsabilità, sia nella fedeltà.

Nella seconda metà del ‘700, in una società gerarchicamente bloccata, celebrare un culto che avesse al centro una tale idea di Patto non era questione di poco conto: illustrava chiaramente l’assunto teologico per cui se la salvezza è per grazia di Dio, nel piano divino l’essere umano, qualunque essere umano, è chiamato a fare la sua parte nel farsi strumento fedele e fiducioso. L’essere umano ha responsabilità nei confronti di Dio e del prossimo per cui non vive la propria fede passivamente. In tal senso, nemmeno la struttura della società può essere accolta acriticamente ma va compresa alla luce del Patto e nell’orizzonte del Regno di Dio.

Come spiega Giosuè al popolo d’Israele (Giosuè 24, 23), accettare di entrare in tale relazione con Dio significa fare una scelta di campo globale, non unicamente relativa al tempo cultuale. La comunità fondata sul patto è plasmata, messa alla prova, vagliata da Dio la cui volontà è che le categorie fragili della società (all’epoca: bambini, orfani, vedove, stranieri) siano rispettate e tutelate, che il cibo sia condiviso, che la terra sia rispettata.

Nel patto, Dio offre promesse di prosperità all’umanità e al popolo d’Israele (discendenza, terra), ma le benedizioni sono frutto della fiducia incondizionata in Dio (cfr. Genesi 22, 16-18) e dell’obbedienza ai suoi comandamenti (Deuteronomio 9, 9ss) tanto che le tavole di pietra su cui vennero scritti vengono denominate «tavole dell’Alleanza».

Secondo alcuni studiosi, il fatto che le «società» metodiste si riconsacrassero ogni anno in un patto con Dio, fu tra le ragioni che determinarono il successo del metodismo e l’influsso positivo che esso esercitò all’interno della compagine sociale. Oggi la visione teologica sottesa al culto di Rinnovamento del Patto probabilmente risulta assodata, ma davvero possiamo dire di essere pronti a vivere il nostro impegno come scelta radicale? E se pure, nella contraddittorietà e durezza del nostro contesto sociale, asseriamo di volerlo fare, come possiamo riuscire a vivere il nostro impegno in modo adeguato, da esseri umani fragili quali siamo?

Dinanzi alla tragica consapevolezza che in questa relazione noi siamo inadeguati e infedeli, ecco che il rimetterci con fiducia a Lui nella preghiera sapendo che siamo stati scelti quali suoi strumenti può darci la forza di continuare nel nostro impegno – come detto nella liturgia del culto relativo – «a ricercare e a compiere la tua perfetta volontà».

 

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